una produzione Emit Flesti
in collaborazione con ariaTeatro
con il contributo finanziario
della Provincia Autonoma di Trento
da "Inverno" di Jon Fosse
con Alessio Dalla Costa e Giulio Federico Janni
regia di Giuseppe Amato
scenografie Andrea Coppi
assistente alla regia Sara Troiani
Ogni vita nel gioco delle possibilità può essere collegata a quella di chiunque altro per istanti, sguardi, atti vissuti o non. Se il tempo regala questo misterioso intreccio, non è dato sapere in che modo due anime possono incontrare il loro sentire e, assecondando un mistero profondo, scivolare l'uno dentro l'altro amandosi.
Toccarsi, sfiorarsi, abbracciarsi senza ferire, seguendo il gioco di queste infinite ma precise possibilità è il mistero più bello che possa accadere a chiunque.
"Inverno" del norvegese Jon Fosse osa affrontare questo meraviglioso mistero dell'incontro fra anime. Le anime che sceglie non potrebbero provenire da percorsi più diversi e lontani. I protagonisti che nel testo di Fosse sono un uomo d’affari e una prostituta, nella regia di Giuseppe Amato diventano un comune uomo medio di estrazione borghese e un uomo in una fase di transito sessuale e di genere, ed è così che il loro intrecciarsi in questo incontro che si vena di un retrogusto straniante e al tempo stesso magnetico. Come voyeur di questo contatto assistiamo alla nascita di un atto poetico dalla sua matrice più bassa. Dalla pochezza di vite storte e periferiche nasce sotto forma di teatro una poesia che si chiama amore.
Jon Fosse affronta in questo piccolo testo il tema prezioso del diverso e dell'emarginato attraverso uno visione assolutamente schierata. Entrambi i personaggi sono dei reietti della società per distinti motivi e vengono studiati attraverso gli occhi dell'interlocutore che gli si avvicina
e in questa scettica conoscenza del diverso da sé comincia ad innamorarsene. Non si tratta quindi di un approccio freddo dell'autore allo studio di sottoculture metropolitane a lui distanti, ma di una schierata dichiarazione d'amore verso una sottoumanità adorabilmente sbagliata.
In questa scrittura così vicina alla poesia anche per forte propensione a pause e silenzi c'è una grande e quasi ossessiva ricerca della verità profonda dei rapporti umani. Soprattutto quando questi sottendono grandi piaghe
sociali, come il razzismo, la paura del diverso e l'omofobia, ma anche dall'altra parte il cieco giudizio del conformismo sociale.
Perchè nella ricerca di questa verità autentica dei rapporti fra esseri umani il disagio non è solo vissuto da una parte più debole e socialmente emarginata ma anche da chi è più conforme a una visione comune e stereotipata e di questa ne è vittima. In questa non banale visione di ogni identità come potenzialmente disagiata o vittima dello stereotipo risiede la grandezza della scrittura di Fosse.
Ogni essere umano è degno del più grande rispetto perché è degno della più grande felicità.